lunedì 7 aprile 2014

Innovazione e passato: Il Cuore della Musica

Ricerca stilistica, bellezza formale, spiritualità nonché un'accurata ricerca della perfezione. Ecco quanto ritengo caratterizzi la musica, e sacra e profana, di J. Sebastian Bach. Un artista della forma, in grado di esprimere concetti e sentimenti profondi e significativi, pur rispettando le rigidissime regole imposte dalle varie forme compositive. Musica strutturata, precisa e studiata che, nonostante ciò, come a dir il vero tutta la musica barocca, può essere arrichita da varie fioriture che rendono unica ogni esecuzione. Altra fondamentale caratteristica della musica barocca, e dunque Bachiana, è il basso continuo: una linea melodica che ha come scopo di arrichire la melodia principale, fungendo da arrichimento armonico, ed è spesso eseguito da strumenti quali clavicemablo (in questo caso oltre alla linea del basso il musicista può/deve improvvisare una parte sopra il basso), viola da gamba (o violoncello, di cui è antenata) e contrabbasso. Ora, senza dilungarmi troppo in digressioni storico-musicali, vorrei semplicemente mettere in luce un aspetto comune fra musica antica e musica moderna, che deriva propriamente dal basso continuo. La figura del basso continuo, è sopravvissuta in tutti i generi: basti pensare al contrabbasso nei complessi jazz, o al basso elettrico nei gruppi rock e metal (ed ovviamente tutte i vari generi da essi derivati). Seppur sempre più semplificandosi nella sua struttura, questo elemento ha resistito a 400 anni di evoluzione musicale. Ma perché vi sto dicendo ciò? Perché annoiarvi con queste nozioni, per un "profano", ben poco interessanti? Ebbene, cercando di essere quanto più breve possibile vi spiegherò il perché trovi importante quanto detto sin'ora. L'innovazione non può mai prescindere da quanto si trovi prima di essa, e ciò è esemplificato da quanto appena detto la musica. Questo articolo non vuole tanto essere un mero discorso storico-musicale quanto un invito a ricordare che, essendo ciò che siamo e quanto abbiamo frutto di quanto v'era prima di noi, sarebbe bello, e imprescindibilmente importante, per noi tutti cercare di conoscere, se non apprezzare, ciò che ci ha preceduto. Concludendo, io vi ho parlato di musica, ma questo discorso è valido in ogni ambito della cultura, dall'arte alla letteratura, sino alla cinematografia

- Omar Al Deek

venerdì 21 marzo 2014

Incontriamoci di Nuovo

Incontriamoci di nuovo
Era seduta su quella stessa panchina dove a dodici anni leggeva libri per allontanarsi dal mondo. Così semplicemente leggeva un libro dopo l'altro e per un po' non pensava se non alle avventure di una protagonista che avrebbe voluto essere lei.

Ora, anni dopo, il libro non lo aveva più, stava semplicemente a guardare quella pozza d'acqua blu con il suo mulino abbandonato, ascoltava il rumore dell'acqua e del vento che passava fra gli alberi. Il sussurro della natura che cerca di dirti qualcosa, ma i tuoi pensieri, troppi fitti e rimbombanti, non ti fanno capire cosa ti sta dicendo.
Forse se fosse stata in grado di ascoltare avrebbe capito molto di più, della vita e di sé stessa.
Quindi semplicemente stava lì, con le gambe incrociate e l'aria di chi è in un mondo tutto suo da cui non vuole essere tirato fuori.
E intanto aspettava. Aspettava qualcuno di così familiare ma allo stesso tempo sconosciuto che di lì a poco sarebbe dovuto arrivare, ma che come al solito si faceva attendere.

Era routine ormai. Non importava dove, con chi o che cosa stesse facendo, ogni anno alla stessa ora, da cinque anni, arrivava per fare una chiacchierata. Per questo faceva in modo di stare da sola, segnava il giorno sul calendario e cercava il posto più solitario e tranquillo dove attenderla.
Ma non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi lì, in uno dei posti che più aveva amato da bambina. Però doveva ammetterlo, era perfetto: surreale quasi, come la situazione stessa; magico, per chi crede in queste cose; e così pieno di vita nonostante la mancanza di gente. È contraddittorio è vero, lo stesso posto e la stessa persona su quella panchina però lo sono e forse lo saranno sempre.
A un tratto appoggiare la testa sulle ginocchia diventa un gesto automatico e fatto inconsapevolmente. La guancia si surriscalda a contatto con i pantaloni, ma il vento primaverile accarezza i capelli e le braccia donando freschezza.

«Ciao» dice una voce sicura e allegra mentre le si siede di fianco e si chiede come faccia il suo tono di voce a non cambiare mai anche con il passare degli anni, è dolce e premuroso e gioioso.
«Sei arrivata» risponde senza girarsi, tenendo ancora la testa giù è guardando un punto imprecisato fra gli alberi, perché ormai il “ciao” è inadeguato, quello si usa per qualcuno che non ti aspetti di vedere o con qualcuno che sei felice di incontrare e non era questo il caso, proprio no.
«Allora come va?» La stessa domanda di sempre, per questo si alza e si volta a guardarla. Non è cambiata, i capelli sono solo leggermente più lunghi ma sono sempre gli stessi, così come il fisico magro ma sinuoso, la bocca è aperta in un sorriso perfettamente dritto ma non forzato e gli occhi sono sempre quelli caldi e profondi di quando si sono viste la prima volta.
«Lo sai come va» risponde seccata per poi sbuffare, è stanca di perdere le energie per confessare quello che ha dentro veramente.
Lei non ha voglia di continuare e l'altra non vuole insistere così restano in silenzio mentre si scambiano occhiate di sottecchi.
Ma quando il silenzio si fa troppo opprimente prende coraggio e apre la bocca per parlare perché certo non avrà voglia di descrivere per filo e per segno la vita nel suo ultimo anno ma del resto lei è sempre una chiacchierona curiosa e stare in silenzio non è proprio nella sua natura.

«Tu invece? Tutto bene?» Ma il sorriso che l'altra le rivolge sa tanto di quello che ha una madre quando suo figlio dice qualcosa di davvero ingenuo ed è una delle cose che più non sopporta di lei, per questo stringe i pugni e ingoia per evitare di esplodere mentre aspetta una risposta.
«Sì, non mi lamento. Grazie» dice mentre guarda una coppia di anziani che camminano mano nella mano a qualche metro da loro e il suo sorriso è radioso, felice e irritante. La trova irritante, l'ha sempre trovata irritante ma le vuole anche bene.

«Tanto se stessi male o ci fosse qualcosa che ti preoccupa non me lo diresti vero?» obietta acida, portandosi il ciuffo all'indietro più come movimento meccanico che per necessità.

«Lo sai che non posso. Vorrei ma non posso.» Il sorriso a quelle parole le scompare dal viso, si strofina le mani sulle gambe in un gesto che conosce fin troppo bene visto che lo fa sempre anche lei.
Avverte lo sguardo su di sé e non verrebbe voltarsi, davvero, ma quegli occhi sono come il più bel richiamo di una sirena e quindi non può farne a meno, alza lo sguardo e si connettono. Ma non riesce a leggerci dentro niente perché sono come uno specchio che riflettono tutto ma non lasciano intravedere nulla di quello che c'è al di là, a differenza dei suoi che invece sono come un libro aperto per l'altra. Ed è frustrante, incredibilmente.

«Perché non mi dici come ti senti? Lo vedo che ne hai bisogno.» Le dice mentre le sposta i capelli dietro l'orecchio per scoprirle meglio il bel volto. Rabbrividisce a quel contatto perché per quanto ci provi non si abituerà mai a essere toccata dagli altri soprattutto quando l'unica cosa che vuole è rimanere nella sua bolla.
Nonostante questo sa che ha ragione ma l'istinto di tenersi tutto dentro e affrontarlo da sola orme sempre per non essere un peso per gli altri prende il sopravvento. Ma lei non ha nulla a che vedere con gli altri, perché è la persona che meglio la conosce al mondo, l'unica che sa che se dice “Non voglio parlare” insiste finché non sputa fuori tutto, anche quello che pensava non ci fosse. Per questo prende un respiro profondo e si arrende, lasciando che le parole fluiscano in maniera sconclusionata come sempre.

«Sto bene quando sono insieme agli altri ed è proprio questo il problema. Da un anno a questa parte ho ricominciato a sentire la malinconia invadermi nel momento stesso in cui mi ritrovavo da sola, quando non c'è nessuno che può distrarmi con una risata. E quindi sì, sto bene ma sono anche stanca di passare le serate a pensare al passato e chiedermi se le scelte che ho fatto sono quelle giuste, perché in fondo non sono felice. O almeno non sono felice sempre, anzi non mi ricordo nemmeno l'ultima volta che sono stata felice, non mi ricordo minimamente cosa si prova. Tu lo sai quando sono lo sono stata? Te lo ricordi?» Chiede esasperata con la voce che trema un po' mentre fa di tutto per trattenere le lacrime che le impedirebbero di andare avanti e lo sa che non le risponderà e forse nemmeno vuole che lo faccia, per questo continua una volta ingoiato il nodo alla gola.

«Inoltre non cambio mai, continuo a crogiolarmi nelle mie fantasie e ad essere troppo codarda per realizzarle. Aspetto che qualcosa o qualcuno arrivi a sconvolgermi la vita e se non succede lo accetto perché tanto sono bloccata per fare qualsiasi cosa.» Si lascia andare contro lo schienale della panchina, porta le ginocchia al petto e vi nasconde il viso. È il chiaro segnale che ha detto tutto ciò che c'era da dire.
La cosa più difficile in questi momenti è la consapevolezza, perché è sempre stata una lottatrice, ha sempre combattuto per le cose in cui credeva, ma per realizzare un suo sogno no. La speranza di arrivarci c'è sempre, il coraggio per andargli incontro un po' meno.
«So come ti senti» dice l'altra semplicemente senza muovere un muscolo e non è una frase di circostanza, lo sa davvero ed è la cosa più rassicurante, più delle parole che dicono sempre le persone quando cercano di tirarti su il morale anche se in realtà non hanno la minima idea di che consiglio darti. Lei ha passato le stesse cose, sa cosa si prova e quanto ci si sente impotenti per questo non da consigli stupidi come “Sii coraggiosa!” o “Vedrai che ce la farai”.
«Cambierò?» sputa fuori con tono fra il disperato e lo sconfitto, ha bisogno di saperlo, più di qualunque altra cosa, più di sapere se sarà felice o troverà l'amore.
«Solo se lo vorrai» dice e all'altra viene spontaneo inarcare il sopracciglio.
«Solo se lo vorrò?» le fa il verso, «che risposta inutile!» E allarga le braccia in un gesto esasperato, ma la verità è che sta quasi per scoppiare a ridere. Ridere di sé stessa che nonostante conosca perfettamente i limiti dell'altra continua a provarci, anno dopo anno, a tirarle fuori qualche informazione utile e poi ride anche di lei che si vede che è agitata come sempre perché vorrebbe dire tanto ma è costretta a mantenere segreti che in realtà vorrebbe urlare a squarcia gola, perché condividerli è più bello che tenerseli dentro.

«Non ti arrendi proprio mai, eh?» Domanda per poi scoppiare nella sua risata allegra e così particolare e contagiosa che è impossibile rimanere seri.
È il bello di lei, ti strappa sempre un sorriso anche quando l'unica cosa che vorresti fare è piangere.


Così iniziano a ridere insieme in modo sguaiato senza riuscire a fermarsi, si tengono le mani sulla pancia dolorante e una volta finito prendono un respiro e si asciugano le lacrime.
Il bello di lei è che ti fa piangere di gioia e non di tristezza, anzi insieme alle risa scivolano via tutte le preoccupazioni.

«Grazie» le dice in modo sincero guardandola con il sorriso che ancora le incornicia il volto e che non ha intenzione di andarsene velocemente e non c'è bisogno di dire nient'altro.
Le risponde con un semplice «Figurati» perché lo sa che la sta ringraziando per essere semplicemente sé stessa, per essere lì e per alleggerire quella situazione sempre un po' difficile e anche il peso che pensa di portare sulle spalle.

«Lo sai no? Il bello di ridere è che quando lo fai non pensi a nulla, il tuo cervello si svuota e senti solo l'eco della gioia che ti invade del tutto.» Aggiunge con tono di chi sa quello che dice per esperienza.
Annuisce, incapace di trovare una risposta adeguata a quella frase che sente così sua, e poi rimangono per un po' in un silenzio dolce e non forzato, una chiude gli occhi annusando l'odore della natura, mente l'altra raccoglie una foglia e con cura la riduce in mille parti da soffiare poi nel vento.


«È meglio che vada.» La informa alzandosi e lisciandosi con le mani il vestito a fiori. È bella, in modo semplice e genuino e mentre l'altra è ancora seduta a guardarla un po' delusa si chiede se lo sappia e se sì quanto le ci è voluto per prenderne consapevolezza. Vorrebbe davvero sapere se arriverà il momento anche per lei in cui guardandosi allo specchio quotidianamente si piacerà.


«Mi ha fatto piacere dopotutto rivederti. Ci vediamo l'anno prossimo.» Si tira su anche lei e la abbraccia per farle capire che ciò che ha detto è sincero. L'altra ricambia la stretta e le accarezza i capelli.

 Poi senza aggiungere altro si gira e fa per andarsene ma non prima che la voce dietro di lei aggiunga: «Certo che è una bella fregatura vedere la
te del futuro ma non poterle mai chiedere niente di quello che ti succederà!»
Si gira e lo vede il ghigno sul viso che era il suo di qualche tempo fa. «Lo so, me lo dici tutti gli anni.»

By Tiffany

lunedì 10 marzo 2014

Ascension - Parte 1

Era tutto così nero. Schiacciato nelle ombre, sentiva il respiro pesante dei suoi compagni, e la loro tensione sul proprio corpo.
Dobbiamo uscire da questo buco - esortò Ed a voce bassa

Il cunicolo in cui erano schiacciati li opprimeva, le pareti fredde e l’aria pesante li faceva sentire in trappola

- C’è una botola ma non riesco ad aprirla - disse Petrov - sembra mezza scardinata, però... -
- Oh andiamo tiraci un calcio e usciamo da qui -
Petrov poteva sentire il peso della propria attrezzatura schiacciargli le spalle ed il torso. Non avrebbero resistito ancora per molto in quel buco, dovevano uscire, ma calciare la botola e romperla del tutto poteva non essere l’opzione più giusta

“Forse ci stanno seguendo ancora, forse ci troveranno e ci prenderanno se faremo così tanto rumore”

- Andiamo pappa molle, fallo o marciremo qui dentro a vita! - ribatté Ed, poco prima di emettere un gemito soffocato. Forse Lena gli aveva tirato un calcio al costato per farlo stare zitto, o qualcosa del genere, ma Petrov era troppo agitato perchè potesse interessarsi veramente a ciò che era successo. Fece un lungo respirò, e diede due colpi secchi al cerchio di ferro.

La botola cedette rivelando il cardine arrugginito e spezzato in due dal tempo, mentre i tre corpi rotolarono fuori sbattendo violentemente a terra dopo una breve caduta.

Petrov emise un urlo sommesso per il dolore all’impatto, mentre Ed cadde vicino a lui e Lena sulle loro gambe. Cercarono di alzarsi velocemente, ma anche la sotto era buio. Rialzandosi Petrov si accorse di una forte fitta alla schiena, provocata dalla botta presa atterrando sul proprio fucile. Tuttavia, tastandosi, l’uniforme scura e a strati che indossava, composta di maniche lunghe e rovinate e parziali coperture al livello del torso sembrava ancora intera. Ed al suo fianco imbracciò velocemente il fucile accendendo la torcia. La luce accecò brevemente gli occhi di Petrov, che però montò velocemente una stessa torcia sotto la canna del proprio. Ed era completo di una tuta mimetica tendente al blu scuro esattamente come quella di Petrov, ma aveva più tasche piene di colpi e munizioni. Lena si rialzò con qualche secondo di ritardi, dolorante, e Petrov tese la mano verso di lei per aiutarla a rialzarsi. Come loro, stessa mimetica e stesso armamentario, solo più leggera e dalle spalle coperte da una sottile e parziale mantella grigia, tipica delle squadre d’infiltrazione tattica. I capelli scuri e gli occhi di un nero profondo penetrarono Petrov. Trasmettevano paura. Al contrario lo sguardo di Ed era molto più spavaldo, nonostante la tensione. Il ragazzo, per quanto giovane, era ben piazzato, e le ferite che riportava sul volto insieme allo sporco accumulato lasciavano comunque trasparire una strana vena di vitalità. Al contrario di Petrov, che nonostante i suoi attributi nordici oramai, quelle poche volte che si era specchiato, non riusciva a riconoscersi più. La barba gli cresceva incolta sul viso, che era sporcato da alcuni tagli più o meno profondi e da una patina nera causata dalla sporcizia accumulata in quei giorni.

Alzò la canna del fucile e illuminò ciò che si trovava intorno a lui, cercando di scorgere qualcosa e realizzare dove fossero finiti.

- Dite che ci hanno sentito? - chiese sottovoce agli altri due
- Non ne ho idea, so solo che finalmente siamo fuori da quel buco -
Lena avanzò lentamente scostando Ed da davanti a lei, ed alzò il proprio fucile silenziato illuminando le pareti.
Petrov ci mise qualche secondo a realizzare dove fossero, e rabbrividire. Intorno a loro, in quella piccola stanza circolare, bare inserite nella muratura. File e file di bare. Quel posto, era una catacomba.

Il suo respiro si fece più affannoso, e inizialmente i muscoli si irrigidirono.

- Mio dio - furono le uniche parole che Ed riuscì a pronunciare.
Lena fece strada facendo alcuni passi avanti, e illuminando uno stretto corridoio che pareva l’unica via percorribile. Sotto i loro piedi dell’acqua iniziò a farsi presente. Doveva esserci qualche perdita a provocare quelle pozzanghere. Ma in quel momento nulla importava realmente loro, se non restare vivi. Per alcuni lunghi secondi non fecero altro che ascoltare i propri respiri, ed il rumore dei loro piedi mentre avanzavano con i fucili alzati, entrando in una seconda stanza circolare, questa volta a quattro sbocchi.

- Siamo in un labirinto, ottimo. - disse Ed stizzito, mentre Lena gli fece cenno di fare silenzio. Petrov si avvicinò alle quattro uscite esaminandole. Tutte uguali, tutti corridoi pieni di cadaveri ed ugualmente vuoti quanto terrificanti.

- Non ci rimane che avanzare - completò Petrov con tono cupo.
Presero la via centrale, ed avanzarono nel buio coprendosi a vicenda. L’oscurità lentamente rivelò del sangue sui muri ed Ed sussultò.
- Fermi. Che diavolo.. - Petrov illuminò la parete

“Di nuovo”
Sul muro questa era la scritta fatta con il sangue, che impregnava le bare in esso incastonate. Ricopriva l’intera parete, e sembrava fatta con sangue ancora caldo.

- Dove diavolo siamo finiti? - sussurrò Ed, quasi in un singhiozzo. Petrov iniziò a sudare
freddo. La paura lo stava bloccando. Sembrava un enorme incubo, qualcosa di non reale.Tenne alto il fucile per darsi coraggio, quasi come difesa contro quello che era puro orrore psicologico. Lena fu la prima a  muovere alcuni passi in avanti, rivelando un altra camera circolare, ricoperta di altre scritte. Improvvisamente Ed si era zittito, e Petrov avanzava a malapena, con i muscoli tesi, pregando che finisse tutto nonostante sapesse benissimo che sarebbe stato impossibile.

“Di nuovo”
“Ancora”
“Ricomincia”
“Senza fine”

Erano alcune delle scritte che si ripetevano pedisseque sulle mura della stanza.

Dobbiamo muoverci ad uscire da qui, dobbiamo trovare una strada - esordì Ed
avvicinandosi a Petrov con fare agitato
Petrov non poté fare altro che fissarlo con sguardo inquieto. Non riusciva a ragionare in quel momento, si stava facendo vincere dalla paura.

“No, calmo. Dio santo, se non troviamo una soluzione qui ci moriremo, me lo sento. E se mi faccio seppellire dal terrore, sono già morto in partenza”

Ok, allora, deve esserci una strada per uscire di qui. Una scala, qualcosa che porti in
superficie. In fondo non si può costruire un complesso del genere senza porvi un’entrata-

- Esatto, quindi muoviamoci a trovarla. E poi non sappiamo se ci stanno ancora inseguendo. Magari questa é una trappola mortale, e noi ci siamo cascati in pieno -

- Non ho idea di come potremmo orientarci, ma sono sicuro che continuando ad andare alle cieca non faremo altro che girare in tondo - aggiunse Petrov

A loro serviva una maniera per muoversi con un criterio.

- Lasceremo un segno in ogni stanza che percorriamo, così potremo andare ad esclusione, imboccando prima o poi la strada giusta. E’ il massimo che possiamo fare. -
Estrasse il coltello e fece un taglio sulla parte centrale del pavimento. I tre si mossero imboccando la strada di sinistra, e proseguirono il loro cammino.

Girarono a vuoto per parecchio tempo nell’oscurità, passando di camera in camera. Petrov perse totalmente la cognizione del tempo, mentre i suoi due compagni cercavano di orientarsi come meglio potevano. Ed non stava un attimo zitto. Un ragazzo troppo irrequieto, facilmente tentato dalla paura che inevitabilmente lo portava all’agitazione. Lena come al solito invece non apriva bocca. Una donna strana. Erano entrambi strani, ed improvvisamente, a tratti, gli parvero dei perfetti sconosciuti che non aveva mai visto in vita sua.

- Altro vicolo cieco - disse sconsolato Ed quando arrivarono ad un corridoio senza vie d’uscita. Si sedette a terra poggiandosi contro il muro.
- Non ce la faremo mai -
Lena si avvicinò a lui e gli tese la mano facendogli segno di rialzarsi.
- Forza alzati Ed, non ci è permesso fermarci, se ci arrendiamo così é finita -
Petrov si rendeva conto di essere uno scarso motivatore. Quelle che aveva detto gli parevano parole gettate al vento, banali, ma non poteva fare altro che cercare di far rimanere unito il gruppo, per quanto non fosse un leader.

Tornarono in una delle stanze precedenti, e mentre si preparavano a imboccare una differente strada, si sentì un rumore. Passi. Petrov fece segno di fare silenzio ed i tre si collocarono in copertura, ai lati dell’entrata della sala, spegnendo le torce. Mentre Petrov spegneva la sua, però, intravide una scritta finire di comporsi sulla muratura alle sue spalle.

“No”

Dei colpi vennero sparati nell’oscurità.

- CORRETE! - urlò ai suoi compagni
Scattarono e imboccarono la strada oscura. Tutto ciò che sentiva erano i respiri affannati dei suoi due commilitoni, il rumore dei piedi che affondavano nelle pozzanghere, i polmoni che lentamente gli andavano a fuoco come se stesse respirando troppo. Altri proiettili vennero sparati, e degli improvvisi bagliori sfolgorarono nel buio

- Aiuto, aiuto! - Ed scivolo nella camera di fronte a loro implorando e ponendosi a fianco dell’entrata
- L’avevo detto che ci stavano ancora seguendo, questo é il nostro biglietto di sola andata per la Fine - urlò Petrov
Lena sparò alle cieca nel buio. Petrov scivolò in copertura sul fianco opposto ad Ed, e riaccese la torcia insieme a quest’ultimo.

- Continuiamo a muoverci, non ci devono toccare! -
Ed fece uno scatto felino verso un’altro corridoio e gli altri due non poterono fare altro che seguirlo. Qualcosa si mosse nell’ombra dietro di loro e Petrov fece fuoco, ma gli parve di sparare al nulla.

Due stanze più in la Ed si fermò affannato e crollò sulle ginocchia, stremato.

- Non ce la faremo, non ce la faremo -
Altri colpi partirono verso di loro, e Lena rispose al fuoco.
Petrov si inginocchiò di fronte ad Ed, raccolse il suo fucile da terra e glielo ridiede in mano, poi gli parlò fissandolo negli occhi e afferrando il suo viso fra le mani.

- Ascoltami, se molli sei morto! Quindi o ti rialzi e resti con noi, o puoi dirci benis.. -
Una salma di proiettili venne sparata, così Ed e Petrov si abbassarono e strisciarono di fianco, mentre Lena si copriva dietro il muro che lentamente veniva ridotto in briciole sotto i colpi nemici

- Dobbiamo muoverci e correre, muoverci e correre senza fermarci mai! - urlò Petrov
Lena fece pochi passi indietro e aiutò i due a sollevarsi.

Pochi secondi dopo, correvano nei corridoi bui, in cerca di una via di uscita. Sentivano i veloci passi dei loro inseguitori alle loro spalle

Scivolarono nell’ennesima camera sparando alle proprie spalle.
- Al diavolo, se devo morire, moriranno anche loro ! - esclamò Ed
- Che cosa stai facendo, idiota!? -

Ed si buttò a capo fitto sotto i proiettili nemici, correndo e rispondendo al fuoco, finchè non venne inghiottito dall’oscurità e dal silenzio.

“Ah, al diavolo!” Pensò Petrov.

Si armò di tanto coraggio e si buttò anche lui nel corridoio buio.
Improvvisamente un alone oscuro lo travolse. Intravide Ed a terra, di fronte a lui. Vide delle ombre muoversi e passargli attraverso. Sparò dei colpi ma nulla fu efficace. Poteva sentire i loro respiri, i loro movimenti in torno a lui. Si girava per vederli, ma il nulla sembrava avvolgerlo. Un terrore che non ha volto, non ha fine e non ha anima. Intravide Lena vicino a lui per un attimo, ma poi anch’essa spronfondò nelle ombre non appena lui provò a prenderle la mano. Improvvisamente la canna di una pistola, fredda, contro la nuca, che lo forzò ad inginocchiarsi a terra. Il del grilletto che veniva premuto mentre lui chiudeva gli occhi.

La sua mano era tesa verso l’alto, ed una strana luce accecava i suoi occhi. Poteva quasi afferrare il sole di quel cielo grigiastro e dallo strano tepore. Le nuvole per quanto opprimenti lasciavano spazio a qualche raggio chiaro e ben definito che le bucava in più punti. Era forse steso, ma qualcosa lo bloccava, e l’unico spazio che si lasciava intravedere era quello creato dal suo braccio, che puntava alla stella. Presto si rese conto di essere seppellito sotto qualcosa che lo schiacciava. Provò a fare forza con i suoi arti facendo leva contro ciò che lo ricopriva, e lentamente riuscì a smuovere quel peso. Braccia e piedi iniziarono a sgusciargli accanto. Teste, corpi. Erano corpi, era sepolto in una pila di cadaveri putrescenti. Urlò con tutta la sua forza per l’orrore, mentre il fetore si faceva vivo nelle sue narici, finché in un disperato spasmo riuscì ad uscire, rotolando giù dalla pila. Qualche braccio provò forse ad afferrarlo, non ne aveva idea. Forse erano ancora vivi. Cadaveri scheletrici e dalla carne consumata, gli occhi bianchi e apparentemente ciechi, alcuni mutilati, altri che riportavano escoriazioni deformanti su tutto il corpo. Si muovevano.

Sbattè la testa a terra e provò a rialzarsi lentamente. Era al centro di una enorme cattedrale, caduta in pezzi, dalle mura distrutte e la parte superiore completamente mancante e che rivelava quelle nuvole grigie. Le imponenti mura in pietra sembravano completamente bruciate, e con esse le raffinate decorazioni che costellavano quella grandezza decaduta. Ma ciò che faceva rabbrividire erano le pile di corpi accatastate ovunque. Si muovevano, facevano versi e provavano a strisciare

- LEVATI, LEVATI ! - la voce di Ed si fece presente, poi un colpo d’arma da fuoco ed un
rantolo. Pochi secondi dopo Ed sbucò da dietro una pila rotolando per terra mentre alcuni corpi provavano ad afferrarlo
“Dove siamo finiti..?” pensò Petrov fra se e se. Ed gli si avvicinò velocemente, e provò ad afferrarlo per un braccio, quando la stessa Lena si affiancò ai due. Pochi secondo dopo, i corpi iniziarono a muoversi. Si alzarono e iniziarono a circondarli. Mormoravano frasi sconnesse e li fissavano con quei occhi bianchi, profondi, che parevano nascondere un mondo di sofferenza.

- STATE LONTANI! - Ed fece fuoco e ne colpì diversi. Petrov era completamente bloccato dalla paura. Lena si raggomitolò per terra chiudendo gli occhi e tappandosi le orecchie. Era la prima volta che la vedeva in preda al terrore. Finiti i colpi, mentre si rendeva conto di non avere più caricatori, una lacrima solcò la guancia di Ed, mentre i corpi si chiudevano sempre più su di loro

“Ci ascolterete, perchè siete come noi, perché la stessa sofferenza che attanaglia il nostro cuore, afferra anche il vostro”

Tesero le mani verso di loro mentre lentamente camminavano chiudendoli sempre di più

“Non avete futuro. Non avete speranza. Ascoltatevi”

Molti dei corpi scattarono verso Petrov e gli altri due. Uno di questi afferrò Petrov per la faccia e lo sbattè a terra, urlando, fissandolo negli occhi. Molti altri si gettarono su di loro strillando, e a squarciagola esprimendo il loro dolore. Le urla si mescolarono alle immagini, il caos prese il sopravvento.

- Soldato? Soldato forza! -
Il caporale gli fece cenno di alzarsi. La pioggia era forte, ma l’assalto stava iniziando. Centinaia di uomini marciavano uno a fianco all’altro, mentre le prime esplosioni della battaglia nascevano e spegnevano le prime vite. Mentre alzava la testa oltre la sua trincea, intravide i plotoni muoversi in assetto d’attacco. Il campo di battaglia era impervio, fatto di rocce, sporgenze, ed insenature che dominavano la nera collina sulla quale incombeva la cattedrale, imponente e grandioso vessillo del folle governo credente.

Avanzò insieme ad altri uomini, sotto la pioggia, con il fango che gli sporcava la mimetica, ed una paura incredibile che gli sporcava l’animo. Muovendosi verso il fronte, non vide altro che uomini esattamente come lui. Impauriti, ma coscienti di ciò che che li attendeva.
- Li caricheremo, e li distruggeremo! Uno ad uno, non ci sarà speranza per loro! Questa sarà la loro fine, o la nostra! - urlava un capitano di un plotone, in posa su una delle rocce, con alle spalle l’inferno che iniziava ad infuriare
- Quindi forza uomini! Spazzateli via, e portate...MORTE! -
Fece un cenno con la mano ed il suo gruppo partì. Petrov continuò a camminare con i suoi compagni verso la sua zona d’attacco. Una volta arrivati, si misero in riga quando il capitano sbucò davanti a loro. L’uniforme nera ed un mantello rosso facevano la propria figura sotto la pioggia. Aveva il volto dai lineamenti duri e lo sguardo deciso, di qualcuno che sa cosa sta facendo. Fece il suo solenne discorso, ma Petrov non lo stava davvero ascoltando. Petrov guardava all’orizzonte, dove la battaglia già infuriava, e centinaia di vite venivano cancellate ogni secondo. Poi il capitano diede l’ordine.

Decine di uomini che correvano a testa bassa, sotto le esplosioni. Petrov era in mezzo, intorno a lui amici, conoscenti e sconosciuti che cadevano falciati dai proiettili. Ma lui continuava a correre, fra le urla e l’orrore. Fece fuoco verso alcune postazioni nemiche mentre altri suoi commilitoni gli cadevano a fianco, e scivolò dietro la prima roccia che trovò, usandola come copertura. Una pioggia di fuoco si abbattè sulla collina, e fiumi di sangue si sparsero ovunque. I soldati a fianco a lui, quelli ancora vivi, si spalleggiavano l’un l’altro coprendosi e sparando, quando iniziarono a piovere colpi di mortaio. Piogge di terra e roccia schizzarono per aria, sporcando l’orizzonte insieme al bagliore assordante delle esplosioni. Affannato, insieme ad altri, Petrov cercò disperatamente di correre via, d mettersi in salvo, quando vide un plotone avanzare disperatamente, e caricare l’avanguardia nemica

- NOI BRUCEREMO IL LORO CREDO, ED ARDEREMO LE LORO SPERANZE! -

Urlava il soldato in testa a quegli uomini. Pochi secondi dopo non c’erano più. Erano solo sangue e pezzi di carne maciullata. Petrov ritornò in formazione facendosi coraggio, cercando di non scappare. Si muovevano velocemente fra una roccia e l’altra, cercando di non saltare per aria. Si coprì insieme ad uno dei suoi compagni e lo fissò dritto negli occhi. Percepiva il suo sguardo come un grido ben distinto, in quell’inferno di morte.


By Diego


mercoledì 5 marzo 2014

mercoledì 26 febbraio 2014

The Lego Movie - Recensione di NoveCento


Spesso tendo a ripetermi, e una frase che ripeto veramente ogni tre respiri è “Se avessi avuto 8 anni c’avrei perso la testa per questa cosa”. L’ho detto quando ho iniziato a guardare Teen Wolf, quando è uscito Little Big Planet, e quando ho visto il trailer di The Lego Movie. La cosa che succede subito dopo è che ci perdo la testa sul serio. E ovviamente così è successo anche per The Lego Movie.
Partiamo dal fatto che un film dove c’è Batman, le tartarughe ninja, Silente e Gandalf ha vinto già in partenza.Perchè per chi non lo sapesse, la LEGO ha i diritti per produrre mattoncini riguardanti tutti questi brand e tanti altri ancora, persino dei supereroi Marvel.

Insomma, la premessa era questa: un film sui famosi mattoncini che comprendesse molti dei personaggi usati nei prodotti.Ovviamente c’erano tutte le carte in regola per fare un film che facesse schifo a tutti, grandi e piccini, oppure un buon film per bambini.
O almeno questo credevo.
Infatti dopo qualche minuto mi sono dovuto ricredere, la trama che dal trailer mi sembrava semplice per un film sui LEGO, si è rivelata “costruita” in modo geniale.haha.L’avete capita? Costruita-film sui lego. heh.
Vabbè, lasciamo perdere questo umorismo pessimo, la trama è questa: Emmet è un operaio ordinario, in un modo ordinario, dove tutto funziona perchè tutti seguono le regole e le istruzioni, dettate dal sicuramenteunabravapersona Mr.Business. Un giorno Emmet cade nel suo cantiere e viene a contatto con un pezzo anomalo, ovvero “il pezzo forte”. Subito dopo farà la conoscenza dei metodi di tortura della polizia locale che lo crede un “mastro costruttore”, e a malincuore comprenderà che nessuno lo considera speciale e nessuno si ricorda di lui. Manco a farlo apposta due minuti dopo viene salvato da uno dei mastri costruttori, che lo crede protagonista di una profezia e comincia  a chiamarlo “quello speciale”. Lei si rivela essere Wildstyle, una splendida fanciulla mattoncinosa. Ed è inutile che io aggiunga altro, che siate fatti di mattoncini o di carne quando una ragazza vi salva il culo e vi dice che siete speciali, il minimo che farete è innamorarvi di lei. Emmet fa anche il massimo, ovvero seguirla in un avventura che lo porterà a conoscere Batman, e altri mastri costruttori che vengono minacciati dall’impero di Mr. Business. Si apre la vicenda: Emmet, un operaio che fino ad ora ha sempre seguito le istruzioni, deve diventare il più grande dei mastri costruttori, unire il pezzo forte al Kragle, l’arma di distruzione di Mr. Business e salvare la creatività. E magari se avanza tempo prendere la fanciulla, pure se è fidanzata con Batman.

Potrà sembrare banale, ma il messaggio che darà questo film verso il finale(senza fare troppi spoiler) mi ha fatto capire che non era indirizzato solo ai bambini questo film. Era indirizzato anche a chi è stato bambino con i Lego, a chi ha dimenticato che la creatività non serve solo
nel campo lavorativo, seguendo le istruzioni come fa Emmet, ma anche per divertirsi e per essere liberi. E questo messaggio qui è rivolto non solo ai bambini ma anche a quelli con qualche anno in più come me, che guardando questo film mi sono accorto di aver dimenticato un po’ la gioia di fare le cose per divertirsi senza pensare al giudizio finale, che sia personale o del pubblico.

E quindi mi sono buttato subito a cercare qualche Lego in casa, mi sono informato sulle ultime cose uscite in questo pianeta che non visitavo da almeno 8 anni.E tra il dire il cercare ho trovato un contest a cui partecipo, perchè ci si vincono delle Lego e perchè sarà una cosa divertente. Prometto che posterò il risultato sotto questo post appena ci riuscirò.

Tornando al film,vorrei rivederlo ancora una volta per apprezzare tutti i riferimenti che mi sono perso, perchè ne ho notati parecchi ma sono sicuro che qualcuno mi è sfuggito.Uno di quelli che mi ha fatto scompisciare è stato Mr. Business che si volta in modo figo e dice “Liberate il Kragle”, citazione alla famosa linea di Scontro fra Titani “Liberate il Kraken”. Ce ne sono a bizzeffe, al momento ne ricordo poche e quelle poche che ricordo non voglio spoilerarle (guardate che animo gentile che ho).

Per me dunque, come voto finale si becca un bel 9, perchè per mia opinione The Lego Movie è uno dei film di animazione più belli degli ultimi anni, di sicuro è diventato uno dei miei preferiti.Sarà perchè ci sono i Lego, sarà perché sono giorni che canto “è meravigliosooooooooo,è meraviglioso far parte di un teaaam”, sarà perchè mi ha fatto sentire finalmente di nuovo bambino.

Come al solito, la mia impressione vignettosa qui sotto.

lunedì 24 febbraio 2014

No Name - Racconto del Lunedì - Diego Carpentieri

Da dove iniziare? Beh, c’era del sangue, tanta gente che urlava e correva ovunque, e tanti altri che cadevano sotto i miei colpi. Anzi, no facciamo che inizio da quando ho fracassato il cranio a quel poliziotto di guardia, un’esperienza sempre bella! Non credo ci voglia un genio per capire da dove sono arrivato, ma visto che siete particolarmente stupidi mi tocca pure spiegarvelo. Avendo la piazza quattro strade principali per accedervi sono arrivato da quella utilizzata per il corteo. Molto semplice vero? Eh si, sotto il vostro naso. E pensare che se mi aveste visto avreste potuto risparmiare tutte quelle vite innocenti! Così, mentre mi muovevo fra le persone e gli studenti, ho fatto fuori uno ad uno tutti i vostri agenti che mi trovavo davanti. Sapete, siete dei veri idioti quando vi dividete per controllare masse così grandi di persone, non fate che altro che moltiplicare i rischi. Così con il primo, mentre mi avvicinavo alle sue spalle, sotto i portici al lato della strada, ho estratto il coltello e SBAM! Un movimento veloce e fluido, dritto nella nuca. Non ha avuto neanche il tempo di urlare, al che ho lasciato cadere a terra il corpo esanime. E voi direte: “che idiota questo, che si mette a uccidere agenti in mezzo a centinaia di persone, così si farà beccare subito!”. E invece no, perchè quando si è così in tanti e il panico inizia a dilagare, le persone non capiscono più nulla e non riescono a vedere la minaccia finché non gli si para a due centimetri dal naso. E così mentre iniziavano a sentirsi le prime urla io avevo già fatto fuori uno, due, tre, quattro agenti dei vostri. Qualcuno di questi fortunelli è riuscito ad intravedere il mio volto. In quegli attimi mentre mi guardavano sul punto di morire, potevo leggere il terrore misto all’impressione nei loro occhi. Chissà perchè il mio bellissimo faccino fa sempre questo effetto sulla gente... in fondo non siamo in un’epoca dove ci si propone di accettare tutto e tutti?. Li ho terminati con le mie fide pistole silenziate che avete avuto l’accortezza di prendere sotto custodia. Oramai avevo il giaccone nero completamente macchiato di sangue, e i corpi caduti a terra con le loro bellissime cervella sparse ovunque provocarono ancora più caos. Le persone si sono messe a correre per tutta la piazza, e io ho iniziato a fare fuoco su chiunque mi passasse vicino. Ricordo molto bene le donne, gli uomini, i ragazzi e le ragazze inciampare gli uni sugli altri pur di sfuggire, mentre li riempivo di piombo. Correvano e strillavano, molti piangevano. Il cielo grigio é stato un perfetto sfondo per il mio spettacolo, e camminare in mezzo a quei corpi che in così breve tempo si trasformavano in cadaveri, cadendo a terra esanimi, ammetto che mi ha dato alla testa. E così, in questa bella mattinata grigia, nella nostra amata ed enorme piazza, ho sparso sangue. Tutto finché voi guastafeste non siete arrivati circondandomi!
- Sei un mostro - Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare David. Stava scrutando quell’uomo, e nonostante fosse in manette, in una camera buia e sigillata, non poteva fare altro che provare paura nei suoi confronti. Era vestito di una giacca lunga e nera completamente bagnata di sangue, e il suo volto dava i brividi. Era un collage di volti estranei l’uno con l’altro, come se qualcuno avesse preso pezzi di visi altrui e li avesse cuciti insieme sulla parte frontale della sua testa. Il risultato era un’insieme di lineamenti informi, che non facevano trasparire emozioni.

- Dicono sempre tutti così.. - rispose con la sua voce gracchiante e con tono deluso.
- Hai ucciso più di quaranta persone, e ne hai ferite gravemente una buona decina. Sei un pazzo, un carnefice, e non la passer.. -
- E non la passerai liscia e bla bla bla, si mi dicono tutti così. Siete tutti uguali voi, visto? E ciò significa che ho vinto, di nuovo - disse accennando un sospiro. Lui lo scrutava intensamente, talmente tanto che quelle pupille vitree sembravano poter bucare qualunque anima. David si ritrovò ad osservare il proprio pugno serrato sulla superficie metallica. Era senza parole, non sapeva più cosa dire. Non capiva se si trovava davanti un pazzo incredibilmente lucido o un folle ciarlatano. Stava iniziando a sudare freddo, e neanche gli altri suoi due colleghi che erano con lui a sorvegliarli riuscivano a dargli conforto.
- Sei contrariato eh? Dai forza, chiedimelo - disse velocemente.
David era preso alla sprovvista e non sapeva cosa dire
- Su, andiamo, so che puoi farcela - continuò con tono speranzoso
David fece lentamente un breve cenno negativo con il capo e lui prese parola
- Sei più stupido di quanto sembri - e continuò con voce caricaturale - Tu, mostro, pazzo, perchè hai fatto tutto ciò? -
Ci fu un breve silenzio.
- Semplice - continuò - voi pensate di essere tanto liberi e indipendenti da poter immaginare di costruire la vostra vita con la vostra testa. Ma la realtà dei fatti, è che voi tutti non siete nulla, siete solo una variabile mal riuscita dell’universo, che stona e non riesce a distinguersi per quanto ci provi. So perchè siamo qui. Non riuscite ad identificarmi. nel vostro stupido registro pieno di nomi ed identikit. Beh, vi dirò io stesso chi sono. Non ho un nome, io in realtà non sono nessuno. Sono più una forza, una minima parte dei difetti che vi contraddistinguono. Sono la paura che vi blocca dal fare azioni differenti dal vostro essere, sono uno di quei pensieri che vola via dalla vostra mente perchè troppo diverso da voi, sono il timore che vi assale quando succede qualcosa di nuovo, sono la routine che ogni giorno vi uccide ed entra nel vostro cervello sino a lobotomizzarlo. Sono quella variabile che vi rende tutti uguali, tutti impotenti, tutti impauriti, tutti incapaci di cambiare, tutti uomini e donne senza volto, senza idee. Sono la variabile che vi tiene nel vostro schema, e che si diverte nel distruggere quella che chiamate “indipendenza”. Sono ciò che vi rende nulla, ciò che vi rende... Anonimi. -


giovedì 20 febbraio 2014

Recensione di Long Wei N°8 e della serie in generale - NoveCento


Prima di cominciare ci tengo a chiarire una cosa: se c'é una cosa che ho da quando sono nato è una devozione per l’Oriente. Già da piccolo amavo l'oriente e in particolare la cultura cinese: adoravo i film di arti marziali di Bruce Lee o Jackie chan, Mulan era il mio film disney preferito,  e mentre dilagava l'odio razzista verso i cinesi per colpa del tanto odiato Made in China, io rimanevo fedele e difendevo questo amore.

Ed è per questo che forse sarò un po’ di parte nel giudicare Long Wei, il fumetto italiano dall’atmosfera da film di arti marziali ambientato nella Chinatown di Milano.
Io mi ero promesso di scriverne una recensione solo al numero 10 , ma eccomi qua a dimostrare che l’impazienza mi tradisce sempre:
Recensione di Long Wei N°8 e della serie in generale.
La storia pubblicata dalla
Editoriale Aurea (John Doe, per chi bazzicasse nell’ambito fumettoso italiano) si intitola Long Wei come il suo protagonista. Long Wei è un ragazzo cinese che ha cercato di fare fortuna come star del cinema di arti marziali in Cina senza successo, che ha deciso di ritentare una nuova vita qui in Italia, più precisamente a Milano. Nella Chinatown di Milano incontra Vincenzo Palma , che oltre a non essere un cittadino modello , come Long Wei mangia pane e mazzate a colazione.I due ovviamente non riescono a stare lontani dai guai e si ritroveranno a fronteggiare bande criminali di ogni tipo, e senza fare troppi spoiler,anche una grossa banda criminale di origini cinesi tramite la quale scopriremo di più sul passato di Long Wei e di Vincenzo.E signori miei questa è  una delle cose più geniali che Diego Cajelli (ideatore e sceneggiatore della serie) ha realizzato in Long Wei : Va bene, è okkei fare due tizi che si mettono nei guai tentando di sventare robe criminali con il kung fu, ma è una cosa solita. La cosa geniale sta nel fatto che sia tutto ambientato a Milano in un atmosfera cinese, e che l’eroe dal fascino orientale dal Kung Fu tutto YAZUAAAA! HA! sia affiancato da un grezzo milanese ex criminale che mena cazzotti senza guardare dove vanno a finire.
Questo mix invece di creare contrasto crea confronto, fa paragone tra due realtà difficili e tra due stili di vita diversi,e non c’è che dire, è un mix riuscito.

A me stava già tutto bene così (sono uno che si accontenta con 3 euro in edicola io oh), ma dal numero 6 la continuity della serie si è rafforzata grazie all’entrata in scena di un organizzazione criminale che sinceramente credevo fosse una cosa più alla team rocket, e invece di sparire anchequestavoltaallavelocitàdellaluceeeee comincia a prendere un po’ a calci in culo il morale dei nostri eroi.In scena entra anche il maestro di Long Wei, e nel numero dopo il passato di Vincenzo.

Il
numero 8 è uscito di recente (15 febbraio se non erro) e come ogni altro numero ha una copertina fighissima (è quella allegata lì sopra) a cura di Lorenzo “LRNZ” Ceccotti che sta curando tutte le copertine.Mi è piaciuta a tal punto che mi sto allenando a menare calci nelle ruote delle biciclette,poi passo alle moto. I disegni sono fantastici, ho apprezzato davvero molto il tratto di Daniele Di Nicuolo di questo numero, che insieme a  Jean Claudio Vinci che ha disegnato lo scorso numero rappresenta “la mia scelta d’eccellenza” per Long Wei. Quelli che vorrei vedere lavorare di più alla serie insomma.
Anche in questo numero c’è stata una genialata, ovvero mettere una banda criminale che rapina banche con le maschere di cantanti italiani soprannominata  “La Banda di San Remo”, e far uscire il numero proprio a pochi giorni dall’inizio del Festival.L’ho trovata una cosa simpatica che faceva da cornice all’ottimo numero.

In conclusione, Long Wei è una buona serie da seguire.C’è azione, c’è una buona storia, e c’è un buon disegno tutto sommato. Se proprio vogliamo trovargli qualche difetto, forse lo troviamo nell’aver impiegato un po’ troppo per far partire la continuity ,di aver usato qualche disegnatore poco dinamico a volte e un po’ nella qualità un po’ scarsina della carta usata dall’Editoriale Aurea, ma queste sono cose che solo i malati come me vanno a guardare.
Se vi piacciono le arti marziali, e siete curiosi di vedere come funziona una storia del genere qui in Italia, buttatevi su Long Wei, che esce ogni mese in edicola.

Voto finale: 8.Cose fighe da sapere su Long Wei: Ci ha lavorato un po’ anche Roberto Recchioni (Orfani,Dylan Dog,DallapartediAsso, e tante altre cose che perderei un mese a scrivere.) e c’è il suo zampino.
Su Feisbuc ho saputo che girando per Milano si trovano adesivi col logo di Long Wei attaccati in giro, boh, mi sembrava una cosa figa.


Vi lascio alla mia interpretazione
di quest'ultimo numero.

lunedì 17 febbraio 2014

Mirrors

23 Ottobre 2013

Mi guarda. Io credo che mi fissi sempre. Mi sono accorta che non riesco neanche più a togliermelo dalla testa. E’ come essere in una palla di vetro, dove ogni riflesso nasconde ciò che temo di più. Essendo chiusa qui, nessuno riesce più a sentirmi. La sua voce invece c’è sempre. A volte si tratta solo di sussurri, a volte di frasi insensate, a volte un fievole canto. Non riesco proprio a dormire.

25 Ottobre 2013
Non credo di capire che cosa egli voglia da me. Mi sento in trappola. Oramai lo vedo ovunque. Le persone che mi stanno intorno non riescono a capire che cosa io ora stia provando. Con loro è come se tenessi una maschera, una maschera che mi è imposta e che non riesco a togliermi dal volto. Loro non sanno nulla, ed è come se non riuscissi a controllare le mie azioni. Mi rimane solo questo piccolo quaderno, su cui scrivere quello che sto passando. Ma non posso farlo vedere a nessuno.

26 Ottobre 2013
Gli specchi. Lui alberga li. Oggi sono riuscita a vederlo da vicino. Quella che prima era una figura indefinita è diventata un’ombra intrisa di paura. L’ho visto mentre mi specchiavo, e con lui ho notato il colore innaturalmente sbiadito dei miei capelli castani, le enormi occhiaie che riempiono le mie ciglia e il colore pallido della pelle. I miei genitori sono molto preoccupati, ma io è come se fossi in una tela e senza via di fuga. Li ho con me, ma non riesco più a sentirli. Non riesco più ad avvertire alcun calore umano, in vero.

28 Ottobre 2013
Nei riflessi, lui osserva. Ora non è più un’ombra. E’ una grossa sagoma, che porta al volto una maschera bianca con soli due fori per gli occhi. La maschera è schizzata di sangue, ma ciò che mi ha colpita è il mantello di foglie nere avvolge completamente il suo corpo,  così come la notte spesso avvolge il mondo. Anche ora, è li che mi guarda, lo vedo nel riflesso della finestra. Mi fissa e mi parla. “Non è qui che troverai la verità” oppure “L’Ascensione è lontana”. Tutte frasi senza senso, ma che a suo modo sento che possano creare un’armonia di parole così soave che….non riesco a smettere di ascoltare.

29 Ottobre 2013
Ha preso piede e voi non troverete qui la risposta. Oh no, non la troverete qui perchè non riesco più a pensare?Il suo fiato mi riempie i pensieri ma quando ASCENDERAI?
Dio, non aiutatemi!

31 Ottobre 2013
Ho ucciso tutti. E non ho sentito nulla. Nulla mentre il coltello affondava nella carne dei miei genitori, niente mentre strangolavo mio fratello. Ma forse non ero io, forse no, forse no.

Riposa piccola.
Qui non troverete alcuna verità.
Perché essa non risiede qui, ma risiede nei riflessi. Quindi girati, ed inizia a scrutare il mondo dal punto di vista di chi, come me, vive di essi dietro la propria maschera. Quand’è che ascenderai? Girati.

Testo: Diego Carpentieri
Illustrazione: NoveCento Manfredi

sabato 15 febbraio 2014

The Game is Back On

Siamo stati fermi una settimana e mezzo, come avevamo annunciato, e dovevamo tornare in grande stile. Ma ovviamente data la nostra solita velocità tipica dei bradipi paralitici, in una settimana e mezzo siamo riusciti solamente ad aggiustare Artemide.
Un disegnino che avevo fatto ieri che c'azzeccava col titolo.
Ma niente paura miei prodi lettori,Io (NoveCento, per chi non ha voglia di leggere in fondo) e Diego siamo riusciti ad inventarci qualcosa; Riuniti in concilio specialissimo, abbiamo deciso di apportare pesanti modifiche strutturalmente sociali qualora ne si recasse l'opportunità di supercazzola brematurata antani che siamo in due.

Va bene,sarò breve, ci siamo detti che ormai ci avete conosciuto abbastanza e che abbiamo stabilito una buona regolarità di lettura, e che era arrivato il momento di scrivere un po' "di opinione". Sappiamo già che interessa solo a noi, quindi vi promettiamo di essere noi stessi in queste opinioni. Il che significa che significa serietà minima, e tutto quello che ci passa per la testa. Quindi ripartono i giochi, tra recensioni,opinioni,fatti che vogliamo sappia il mondo intero, riguardanti tutto ciò che ci circonda e tutto ciò che facciamo quando non siamo a scrivere/disegnare/gestire l'associazione/farciunpo'divitasocialeperchèognitantoserve .

Certo è che manterremo la nostra normale regolarità,Diego continuerà a scrivere ogni Lunedì quando non è oppresso dal mondo intero, e io ho fermato Kling per dare spazio ad un lavoro un po' più personale che però vi assicurò che non verrà fermato.
Il titolo dovrebbe essere "L'Armadio di NoveCento", in cui il protagonista sono io che viaggio tra lo spazio e il tempo tramite un armadio,a risolvere problemi e a vivere delle avventure con l'aiuto di una maschera che cambia forma in base al luogo. Da una parte avrà delle avventure a fumetti,storie che piano piano prenderanno una continuity, e dall'altra avrà delle recensioni a fumetto, dove il mio alias girerà per recensire in prima linea (e quasi sempre si acchiappa le mazzate).

Sto attualmente disegnando la prima recensione a fumetti (chiamateli minisodi,o come vi pare) su Dark Souls, il videogioco della From Software che ho ripreso da poco. A breve dovrebbe essere finita e la posterò qui.La prima "avventura" è in fase di lavorazione: ho scritto la storia/soggetto, mi resta disegnarla e rivederla, ma per non fare i famosi "debiti con la bocca" (che non sono quelli che pensate voi, brutti maliziosi che non siete altro) non vi comunico nessuna data, anche perchè volevo prendermi un po' di relax (che me lo merito) dopo il primo minisodio su Dark Souls, per scrivere un po' qui sopra.

Bene, spero di aver detto tutto,ma per non lasciarvi a mani vuote  ecco la cover della prima parte de L'Armadio di NoveCento. Ci rivediamo al prossimo post!

(Se clicchi la vedi in accaddi pawah,come sempre)


                                             -Novecento

lunedì 10 febbraio 2014

Drown

Ero solito pensare che la vita fosse un continuo sali scendi, una montagna russa piena di opportunità. La fine, in fondo, per buona parte del tempo facciamo finta di non vederla, perchè ci sembra troppo lontana, e continuiamo ad ignorarla. Ma ancor peggio, non ci rendiamo conto che a volte non è così lontana, e sopraggiunge in un’istante.

Il nostro piccolo peschereccio giorni fa navigava su acque cristalline, e noi svolgevamo il nostro lavoro al meglio. L’inferno però si è voluto scatenare proprio stanotte. Io ho sempre teso a non credere nel caso, e a non credere in nessun tipo “d’ira funesta”. Ma oggi sembra proprio che sia stato il caso, a volerci uccidere.

- Neil, cerca di tenere la rotta! -

Argo stava urlando a squarcia gola ai 4 marinai che erano con lui. Era un uomo robusto e di mezz’età, dalla folta barba ormai grigiastra e i denti perennemente gialli. I suoi occhi corvini si muovevano da una parte all’altra senza fine, mentre la tempesta sopra di loro infuriava.

Neil, nonostante non fosse un uomo particolarmente forte, cercava di tenere il timone come poteva. Le sue gracili braccia tremavano per lo sforzo, e il suo viso scavato era stanco e pieno di paura. I capelli rossicci erano completamente bagnati dalla forte pioggia, e la sua espressione tesa.

Argo si avvicinò velocemente a me, e mi ordinò di ribilanciare la nave cercando di buttare fuori bordo l’acqua in eccesso. Si muoveva a stento per il peschereccio, che era flagellato da continue ondate che si infrangevano con violenza sul ponte e ci sommergevano periodicamente tutti. La nostra era una lotta disperata. Fra una boccata e l’altra, per aiutarmi, si mosse verso di me Sean, il mio migliore amico. Avevamo servito per anni su quel lurido peschereccio, e mai ci eravamo trovati in una situazione tanto disperata. Il suo volto squadrato, ricoperto da quella folta barba nera, trasmetteva tensione, esattamente come tutti i robusti muscoli del suo corpo. Ma gli occhi, negli occhi si leggeva paura. E la cosa mi  fece tremare.

- Forza amico mio, buttiamo questo schifo fuori dal ponte, o presto ci ribalteremo ! - Prese un secchio e disperatamente cercò di buttare l’acqua giù dalla nave. Io provai con lui, e scivolando disperatamente fra un’ondata e l’altra, provai a buttare giù quanta più acqua potevo, ma la verità era solo una : continuavamo ad imbarcare.

A poppa, il nostro mozzo, un ragazzo molto giovane, stava lottando per non venire trascinato via dalle onde sempre più forti.

Avevo al mio fianco Sean, quando sentii mancarmi la superficie sotto i piedi, e il mondo parve impazzire. Sentii urla, il forte rumore dei tuoni sopra di noi, mentre realizzavo che il vascello si stava ribaltando. Le onde avvolsero la nave e vidi chiaramente Sean volare sbalzato per aria mentre io sbattevo con forza contro qualcosa alle mie spalle. Cercai di guardarmi intorno con una veloce occhiata per cercare di ridare un senso a quello che stava accadendo. Neil era volato fuori dalla cabina, e del mozzo neanche più l’ombra. Argo venne inghiottito da un’onda, che se lo mangiò senza pietà. E così anche io.

E quindi eccomi qui, mentre affondo negli abissi, e vedo la nave sulla quale ho lavorato per anni spezzarsi in due. Io scendo sempre di più, trascinato nell’oscurità dei mari, e realizzo che è proprio vero che vedi tutta la tua vita passarti davanti negli ultimi attimi. Eppure tutto mi sembra così lontano, quasi come una memoria sepolta da altre mille esperienze. I corpi dilaniati di Sean e di Argo, che lasciano una lunga scia di sangue che colora questo nero, scendono con me, mentre io non respiro più. E’ ironico perchè in superficie, intravedo ancora la luce, quando in realtà, il buio oramai mi avvolge.
By Diego

lunedì 27 gennaio 2014

Prisoner

Ed é qui che mi ritrovo, perso, nella solitudine di una prigione fatta di buio e dolore, a chiedermi che cosa ho fatto e a disperarmi nel silenzio delle avvolgenti tenebre. Non sento neanche più il mio corpo come mio, e la dura e fredda stanza buia dove sono stato rinchiuso é lo specchio della mia anima già persa, sola, morta. Ho bruciato la mia felicità, , sgozzato i miei principi ed impiccato la mia libertà con le mie stesse e lerce mani. Non ho scuse, solo tanta rabbia. La sento, che pervade le mie vene e e taglia le mie membra mentre strazia il mio cuore e corrompe la mia anima. Una rabbia pronta ad esplodere in questa prigione oscura. I piccoli spasmi del mio corpo inerme iniziano a muovermi e mi portano a muovere i primi passi nel grigio mondo della follia, distrutto da questo peso che ogni giorno grava sul mio animo, e storpiato da questa pena che torce la mia mente. E quindi nel mio odio mi alzo, e provo piacere nel sentire il sangue colarmi fra le mani mentre prendo a pugni le sbarre, amo il dolore che uccide le mie ossa quando infliggo spallate alle fredde mura e mentre urlo, urlo squarciandomi la gola fino a sentire il metallico e grezzo sapore del sangue sulla mia lingua. Ma alla fine cado, e ritorno nel mio oblio, capendo che ormai sono già morto, e il mondo che ho adorato torturare, mi ha già dimenticato.

venerdì 24 gennaio 2014

Kling #2

KLING #2

Kling,il ragazzo prodigio che lavorava per la malvagia "Evil Minds co." è scappato per cercare di salvare il mondo dalla minaccia che lui stesso rappresentava... e per diventare un normale adolescente.


http://i40.tinypic.com/31646sn.png

mercoledì 22 gennaio 2014


KLING: Una vignetta di NoveCento

Oh, finalmente riesco a presentare qualcosa di mio.La vignetta in questione è KLING, che è attualmente una mia piccola storiella/esperimento.Anche se so di non riuscire a mantenere il ritmo,le vignette dovrebbero uscire ogni mercoledì e venerdì, quindi a breve vi spiegheremo una tabella di marcia che cercheremo di adottare e che sicuramente non riusciremo a mantenere.Ma ora, ecco a voi KLING.



KLING #1

Kling,il ragazzo prodigio che lavorava per la malvagia "Evil Minds co." è scappato per cercare di salvare il mondo dalla minaccia che lui stesso rappresentava... e per diventare un normale adolescente
.

(Se pigiate sull'immagine si apre in accaddìwowsuchdefition)
http://i44.tinypic.com/2w21s40.png

lunedì 20 gennaio 2014

Pensiero di un Istante

Pensi di essere al sicuro? Sotto questa pioggia, in questa piazza, in queste molteplici possibilità, in realtà sei più perso che mai. Non hai idea di ciò a cui stai andando incontro, ma il tocco di queste piccole gocce ti rassicura e ti fa sentire ancora una volta vivo.
Sei sicuro, sicuro di tutto ciò che stai costruendo amico mio, ma in realtà ancora non hai affrontato nulla di ciò che deve arrivare. Perché vedi, in questa piazza, in questa città grigia, nessuno va da alcuna parte prima di passare da me. Ma te ne rendi conto fin troppo tardi, quando ormai la tua testa è già sul mio patibolo. Sempre sotto questa pioggia, io impugno la mia ascia, e sotto il mio cappuccio da tristo mietitore ti porto via tutto ciò che ti ha spinto da me. In un attimo, in un battito di ciglia, la fredda pioggia diventa un po’ più rossa, e la mia lama si macchia delle tue speranze. Io amo, amo questo sentimento, distruggere per non lasciare il vuoto mentre le ombre di tutti gli altri ti guardano cadere. E speranza dopo speranza, come in un ballo mortale, ti porto via tutto lasciandoti con nulla, lasciandoti senza anima. Perché io sono quel sentimento senza volto, il boia della felicità e la lama dell’oscurità.

Io sono il dolore.


lunedì 13 gennaio 2014

The Journey

Le foglie si muovono e cadono lentamente dagli alti alberi di questa terra vasta e sconosciuta. Sono rosse, gialle, arancioni e dipingono un piccolo mosaico di un affresco mai esplorato e sconosciuto, accogliente e tenebroso allo stesso tempo. Ogni viaggio é una scoperta. Sensazioni e sentimenti nuovi possono toccarci in ogni istante, crescendoci, dandoci la possibilità di riscoprirci. Ma le terre sconosciute che andiamo solcando, riescono ad essere anche impervie quando vogliono, ricche di difficoltà che provano a buttarci a terra come spesso ama fare il mare in piena con le barche dei navigatori, o come ama fare il vento con queste piccole foglie colorate che osservo cadere.
Una volta mi sono chiesto se non fosse meglio smetterla di rischiare, rimanere fermi e agiati nelle proprie convinzioni per ignorare il dolore che avrebbe potuto colpirmi.

Le scelte che facciamo molte volte sono azzardate e repentine, ma ho imparato che il segreto di vivere è conoscere, emettersi in gioco, solcare le onde di un mare in tempesta e dominare il vento che cerca di tirarti giù. Riguardo alle mie esperienze e vedo un grande disegno fatto di persone, momenti, sapori, ma specialmente : errori. Uno più grande dell’altro, se vogliamo, ma che mi hanno dato le armi per combattere le sfide più grandi e che infine mi hanno portato a raggiungere le gioie più grandi, sprazzi di colore in quell’insieme variegato. Spesso ho sentito le mie forze lasciarmi e la mia anima chiudersi in se stessa, al punto di domandarmi se sarei rimasto intrappolato nel dolore per sempre. Ma la verità é che se si ha la forza, nulla può fermarci nel nostro piccolo ma grande viaggio, e nulla può impedirci di riscoprirci in milioni di modi diversi. Perché siamo così, come foglie al vento, che lentamente cadono sino a toccare il suolo, e conoscere la vera fine.

By Diego Carpentieri

lunedì 6 gennaio 2014

The Beginning

Hai paura di me? Le tue piccole gambe non si sentono pronte per sopportare un tale peso, il peso di un mondo che ti frana addosso. Sei incerto, non sai cosa ti attende oltre la soglia, potrebbe esserci la più grande gioia che tu abbia mai conosciuto o la più grande desolazione che tu abbia mai incontrato. Non hai le forze per alzarti perchè di colpo ti senti come un bambino, che timidamente cerca di muovere i suoi primi passi. La tua determinazione è ancora dormiente e solo l’oscurità ti avvolge nel tuo turbinio di domande. E’ qui che si vede la vera forza di una persona. Seduto in un angolo buio e remoto, ascoltava queste parole rimbombargli per la testa. Era come bloccato, e non riusciva reagire. Era una figura scura persa nell’oblio, come un’ombra, senza identità e senza la forza di esistere. Improvvisamente alzò la testa e si fece forza sulle gambe. La sua condizione stava cambiando, una strana energia lo stava pervadendo, uno sconosciuto coraggio lo stava aiutando a risolvere ogni paura. Lentamente mosse i primi passi nella stanza buia e il pavimento iniziò a prendere forma e disegnarsi sotto i suoi piedi con il tiepido colore del legno. Piccoli lumi si accesero mentre passava le mani sulle mura ed una stanza accogliente si rivelò ai suoi occhi. Prese le proprie umili vesti in cuoio e lo zaino che aveva preparato forse giorni prima. Mosse alcuni passi oltre la porta della stanza e fu come vedere un fiume di colori caldi colorarsi davanti a lui confortandolo. Un’umile e calda stanza accesa da un fuocherello dolce e gentile che brillava in un camino lo accolse, con il suo tavolo in legno grezzo e quella poca frutta posta su di esso. Si avvicinò al bastone che stava sulla soglia dell’uscita. Quell’ultima piccola porta che si stagliava di fronte a lui era il vero ostacolo da superare. Di li in avanti non avrebbe mai potuto sapere cosa si sarebbe abbattuto su di lui. Il fuoco del coraggio che pervadeva il suo torace lo spinse ad aprire lentamente l’uscita. Più in la, i venti dell’ignoto. Un Maelstrom di esperienze scuoteva l’orizzonte rendendolo opaco, a volte oscuro eppure pieno di riflessi luminosi. Si guardò indietro. La casa era calda ed accogliente. Prese un forte respiro e chiuse gli occhi. Sentì i muscoli fremere e la mente tremare. Mosse il primo passo fuori dalla soglia. By Diego Carpentieri