venerdì 21 marzo 2014

Incontriamoci di Nuovo

Incontriamoci di nuovo
Era seduta su quella stessa panchina dove a dodici anni leggeva libri per allontanarsi dal mondo. Così semplicemente leggeva un libro dopo l'altro e per un po' non pensava se non alle avventure di una protagonista che avrebbe voluto essere lei.

Ora, anni dopo, il libro non lo aveva più, stava semplicemente a guardare quella pozza d'acqua blu con il suo mulino abbandonato, ascoltava il rumore dell'acqua e del vento che passava fra gli alberi. Il sussurro della natura che cerca di dirti qualcosa, ma i tuoi pensieri, troppi fitti e rimbombanti, non ti fanno capire cosa ti sta dicendo.
Forse se fosse stata in grado di ascoltare avrebbe capito molto di più, della vita e di sé stessa.
Quindi semplicemente stava lì, con le gambe incrociate e l'aria di chi è in un mondo tutto suo da cui non vuole essere tirato fuori.
E intanto aspettava. Aspettava qualcuno di così familiare ma allo stesso tempo sconosciuto che di lì a poco sarebbe dovuto arrivare, ma che come al solito si faceva attendere.

Era routine ormai. Non importava dove, con chi o che cosa stesse facendo, ogni anno alla stessa ora, da cinque anni, arrivava per fare una chiacchierata. Per questo faceva in modo di stare da sola, segnava il giorno sul calendario e cercava il posto più solitario e tranquillo dove attenderla.
Ma non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi lì, in uno dei posti che più aveva amato da bambina. Però doveva ammetterlo, era perfetto: surreale quasi, come la situazione stessa; magico, per chi crede in queste cose; e così pieno di vita nonostante la mancanza di gente. È contraddittorio è vero, lo stesso posto e la stessa persona su quella panchina però lo sono e forse lo saranno sempre.
A un tratto appoggiare la testa sulle ginocchia diventa un gesto automatico e fatto inconsapevolmente. La guancia si surriscalda a contatto con i pantaloni, ma il vento primaverile accarezza i capelli e le braccia donando freschezza.

«Ciao» dice una voce sicura e allegra mentre le si siede di fianco e si chiede come faccia il suo tono di voce a non cambiare mai anche con il passare degli anni, è dolce e premuroso e gioioso.
«Sei arrivata» risponde senza girarsi, tenendo ancora la testa giù è guardando un punto imprecisato fra gli alberi, perché ormai il “ciao” è inadeguato, quello si usa per qualcuno che non ti aspetti di vedere o con qualcuno che sei felice di incontrare e non era questo il caso, proprio no.
«Allora come va?» La stessa domanda di sempre, per questo si alza e si volta a guardarla. Non è cambiata, i capelli sono solo leggermente più lunghi ma sono sempre gli stessi, così come il fisico magro ma sinuoso, la bocca è aperta in un sorriso perfettamente dritto ma non forzato e gli occhi sono sempre quelli caldi e profondi di quando si sono viste la prima volta.
«Lo sai come va» risponde seccata per poi sbuffare, è stanca di perdere le energie per confessare quello che ha dentro veramente.
Lei non ha voglia di continuare e l'altra non vuole insistere così restano in silenzio mentre si scambiano occhiate di sottecchi.
Ma quando il silenzio si fa troppo opprimente prende coraggio e apre la bocca per parlare perché certo non avrà voglia di descrivere per filo e per segno la vita nel suo ultimo anno ma del resto lei è sempre una chiacchierona curiosa e stare in silenzio non è proprio nella sua natura.

«Tu invece? Tutto bene?» Ma il sorriso che l'altra le rivolge sa tanto di quello che ha una madre quando suo figlio dice qualcosa di davvero ingenuo ed è una delle cose che più non sopporta di lei, per questo stringe i pugni e ingoia per evitare di esplodere mentre aspetta una risposta.
«Sì, non mi lamento. Grazie» dice mentre guarda una coppia di anziani che camminano mano nella mano a qualche metro da loro e il suo sorriso è radioso, felice e irritante. La trova irritante, l'ha sempre trovata irritante ma le vuole anche bene.

«Tanto se stessi male o ci fosse qualcosa che ti preoccupa non me lo diresti vero?» obietta acida, portandosi il ciuffo all'indietro più come movimento meccanico che per necessità.

«Lo sai che non posso. Vorrei ma non posso.» Il sorriso a quelle parole le scompare dal viso, si strofina le mani sulle gambe in un gesto che conosce fin troppo bene visto che lo fa sempre anche lei.
Avverte lo sguardo su di sé e non verrebbe voltarsi, davvero, ma quegli occhi sono come il più bel richiamo di una sirena e quindi non può farne a meno, alza lo sguardo e si connettono. Ma non riesce a leggerci dentro niente perché sono come uno specchio che riflettono tutto ma non lasciano intravedere nulla di quello che c'è al di là, a differenza dei suoi che invece sono come un libro aperto per l'altra. Ed è frustrante, incredibilmente.

«Perché non mi dici come ti senti? Lo vedo che ne hai bisogno.» Le dice mentre le sposta i capelli dietro l'orecchio per scoprirle meglio il bel volto. Rabbrividisce a quel contatto perché per quanto ci provi non si abituerà mai a essere toccata dagli altri soprattutto quando l'unica cosa che vuole è rimanere nella sua bolla.
Nonostante questo sa che ha ragione ma l'istinto di tenersi tutto dentro e affrontarlo da sola orme sempre per non essere un peso per gli altri prende il sopravvento. Ma lei non ha nulla a che vedere con gli altri, perché è la persona che meglio la conosce al mondo, l'unica che sa che se dice “Non voglio parlare” insiste finché non sputa fuori tutto, anche quello che pensava non ci fosse. Per questo prende un respiro profondo e si arrende, lasciando che le parole fluiscano in maniera sconclusionata come sempre.

«Sto bene quando sono insieme agli altri ed è proprio questo il problema. Da un anno a questa parte ho ricominciato a sentire la malinconia invadermi nel momento stesso in cui mi ritrovavo da sola, quando non c'è nessuno che può distrarmi con una risata. E quindi sì, sto bene ma sono anche stanca di passare le serate a pensare al passato e chiedermi se le scelte che ho fatto sono quelle giuste, perché in fondo non sono felice. O almeno non sono felice sempre, anzi non mi ricordo nemmeno l'ultima volta che sono stata felice, non mi ricordo minimamente cosa si prova. Tu lo sai quando sono lo sono stata? Te lo ricordi?» Chiede esasperata con la voce che trema un po' mentre fa di tutto per trattenere le lacrime che le impedirebbero di andare avanti e lo sa che non le risponderà e forse nemmeno vuole che lo faccia, per questo continua una volta ingoiato il nodo alla gola.

«Inoltre non cambio mai, continuo a crogiolarmi nelle mie fantasie e ad essere troppo codarda per realizzarle. Aspetto che qualcosa o qualcuno arrivi a sconvolgermi la vita e se non succede lo accetto perché tanto sono bloccata per fare qualsiasi cosa.» Si lascia andare contro lo schienale della panchina, porta le ginocchia al petto e vi nasconde il viso. È il chiaro segnale che ha detto tutto ciò che c'era da dire.
La cosa più difficile in questi momenti è la consapevolezza, perché è sempre stata una lottatrice, ha sempre combattuto per le cose in cui credeva, ma per realizzare un suo sogno no. La speranza di arrivarci c'è sempre, il coraggio per andargli incontro un po' meno.
«So come ti senti» dice l'altra semplicemente senza muovere un muscolo e non è una frase di circostanza, lo sa davvero ed è la cosa più rassicurante, più delle parole che dicono sempre le persone quando cercano di tirarti su il morale anche se in realtà non hanno la minima idea di che consiglio darti. Lei ha passato le stesse cose, sa cosa si prova e quanto ci si sente impotenti per questo non da consigli stupidi come “Sii coraggiosa!” o “Vedrai che ce la farai”.
«Cambierò?» sputa fuori con tono fra il disperato e lo sconfitto, ha bisogno di saperlo, più di qualunque altra cosa, più di sapere se sarà felice o troverà l'amore.
«Solo se lo vorrai» dice e all'altra viene spontaneo inarcare il sopracciglio.
«Solo se lo vorrò?» le fa il verso, «che risposta inutile!» E allarga le braccia in un gesto esasperato, ma la verità è che sta quasi per scoppiare a ridere. Ridere di sé stessa che nonostante conosca perfettamente i limiti dell'altra continua a provarci, anno dopo anno, a tirarle fuori qualche informazione utile e poi ride anche di lei che si vede che è agitata come sempre perché vorrebbe dire tanto ma è costretta a mantenere segreti che in realtà vorrebbe urlare a squarcia gola, perché condividerli è più bello che tenerseli dentro.

«Non ti arrendi proprio mai, eh?» Domanda per poi scoppiare nella sua risata allegra e così particolare e contagiosa che è impossibile rimanere seri.
È il bello di lei, ti strappa sempre un sorriso anche quando l'unica cosa che vorresti fare è piangere.


Così iniziano a ridere insieme in modo sguaiato senza riuscire a fermarsi, si tengono le mani sulla pancia dolorante e una volta finito prendono un respiro e si asciugano le lacrime.
Il bello di lei è che ti fa piangere di gioia e non di tristezza, anzi insieme alle risa scivolano via tutte le preoccupazioni.

«Grazie» le dice in modo sincero guardandola con il sorriso che ancora le incornicia il volto e che non ha intenzione di andarsene velocemente e non c'è bisogno di dire nient'altro.
Le risponde con un semplice «Figurati» perché lo sa che la sta ringraziando per essere semplicemente sé stessa, per essere lì e per alleggerire quella situazione sempre un po' difficile e anche il peso che pensa di portare sulle spalle.

«Lo sai no? Il bello di ridere è che quando lo fai non pensi a nulla, il tuo cervello si svuota e senti solo l'eco della gioia che ti invade del tutto.» Aggiunge con tono di chi sa quello che dice per esperienza.
Annuisce, incapace di trovare una risposta adeguata a quella frase che sente così sua, e poi rimangono per un po' in un silenzio dolce e non forzato, una chiude gli occhi annusando l'odore della natura, mente l'altra raccoglie una foglia e con cura la riduce in mille parti da soffiare poi nel vento.


«È meglio che vada.» La informa alzandosi e lisciandosi con le mani il vestito a fiori. È bella, in modo semplice e genuino e mentre l'altra è ancora seduta a guardarla un po' delusa si chiede se lo sappia e se sì quanto le ci è voluto per prenderne consapevolezza. Vorrebbe davvero sapere se arriverà il momento anche per lei in cui guardandosi allo specchio quotidianamente si piacerà.


«Mi ha fatto piacere dopotutto rivederti. Ci vediamo l'anno prossimo.» Si tira su anche lei e la abbraccia per farle capire che ciò che ha detto è sincero. L'altra ricambia la stretta e le accarezza i capelli.

 Poi senza aggiungere altro si gira e fa per andarsene ma non prima che la voce dietro di lei aggiunga: «Certo che è una bella fregatura vedere la
te del futuro ma non poterle mai chiedere niente di quello che ti succederà!»
Si gira e lo vede il ghigno sul viso che era il suo di qualche tempo fa. «Lo so, me lo dici tutti gli anni.»

By Tiffany

lunedì 10 marzo 2014

Ascension - Parte 1

Era tutto così nero. Schiacciato nelle ombre, sentiva il respiro pesante dei suoi compagni, e la loro tensione sul proprio corpo.
Dobbiamo uscire da questo buco - esortò Ed a voce bassa

Il cunicolo in cui erano schiacciati li opprimeva, le pareti fredde e l’aria pesante li faceva sentire in trappola

- C’è una botola ma non riesco ad aprirla - disse Petrov - sembra mezza scardinata, però... -
- Oh andiamo tiraci un calcio e usciamo da qui -
Petrov poteva sentire il peso della propria attrezzatura schiacciargli le spalle ed il torso. Non avrebbero resistito ancora per molto in quel buco, dovevano uscire, ma calciare la botola e romperla del tutto poteva non essere l’opzione più giusta

“Forse ci stanno seguendo ancora, forse ci troveranno e ci prenderanno se faremo così tanto rumore”

- Andiamo pappa molle, fallo o marciremo qui dentro a vita! - ribatté Ed, poco prima di emettere un gemito soffocato. Forse Lena gli aveva tirato un calcio al costato per farlo stare zitto, o qualcosa del genere, ma Petrov era troppo agitato perchè potesse interessarsi veramente a ciò che era successo. Fece un lungo respirò, e diede due colpi secchi al cerchio di ferro.

La botola cedette rivelando il cardine arrugginito e spezzato in due dal tempo, mentre i tre corpi rotolarono fuori sbattendo violentemente a terra dopo una breve caduta.

Petrov emise un urlo sommesso per il dolore all’impatto, mentre Ed cadde vicino a lui e Lena sulle loro gambe. Cercarono di alzarsi velocemente, ma anche la sotto era buio. Rialzandosi Petrov si accorse di una forte fitta alla schiena, provocata dalla botta presa atterrando sul proprio fucile. Tuttavia, tastandosi, l’uniforme scura e a strati che indossava, composta di maniche lunghe e rovinate e parziali coperture al livello del torso sembrava ancora intera. Ed al suo fianco imbracciò velocemente il fucile accendendo la torcia. La luce accecò brevemente gli occhi di Petrov, che però montò velocemente una stessa torcia sotto la canna del proprio. Ed era completo di una tuta mimetica tendente al blu scuro esattamente come quella di Petrov, ma aveva più tasche piene di colpi e munizioni. Lena si rialzò con qualche secondo di ritardi, dolorante, e Petrov tese la mano verso di lei per aiutarla a rialzarsi. Come loro, stessa mimetica e stesso armamentario, solo più leggera e dalle spalle coperte da una sottile e parziale mantella grigia, tipica delle squadre d’infiltrazione tattica. I capelli scuri e gli occhi di un nero profondo penetrarono Petrov. Trasmettevano paura. Al contrario lo sguardo di Ed era molto più spavaldo, nonostante la tensione. Il ragazzo, per quanto giovane, era ben piazzato, e le ferite che riportava sul volto insieme allo sporco accumulato lasciavano comunque trasparire una strana vena di vitalità. Al contrario di Petrov, che nonostante i suoi attributi nordici oramai, quelle poche volte che si era specchiato, non riusciva a riconoscersi più. La barba gli cresceva incolta sul viso, che era sporcato da alcuni tagli più o meno profondi e da una patina nera causata dalla sporcizia accumulata in quei giorni.

Alzò la canna del fucile e illuminò ciò che si trovava intorno a lui, cercando di scorgere qualcosa e realizzare dove fossero finiti.

- Dite che ci hanno sentito? - chiese sottovoce agli altri due
- Non ne ho idea, so solo che finalmente siamo fuori da quel buco -
Lena avanzò lentamente scostando Ed da davanti a lei, ed alzò il proprio fucile silenziato illuminando le pareti.
Petrov ci mise qualche secondo a realizzare dove fossero, e rabbrividire. Intorno a loro, in quella piccola stanza circolare, bare inserite nella muratura. File e file di bare. Quel posto, era una catacomba.

Il suo respiro si fece più affannoso, e inizialmente i muscoli si irrigidirono.

- Mio dio - furono le uniche parole che Ed riuscì a pronunciare.
Lena fece strada facendo alcuni passi avanti, e illuminando uno stretto corridoio che pareva l’unica via percorribile. Sotto i loro piedi dell’acqua iniziò a farsi presente. Doveva esserci qualche perdita a provocare quelle pozzanghere. Ma in quel momento nulla importava realmente loro, se non restare vivi. Per alcuni lunghi secondi non fecero altro che ascoltare i propri respiri, ed il rumore dei loro piedi mentre avanzavano con i fucili alzati, entrando in una seconda stanza circolare, questa volta a quattro sbocchi.

- Siamo in un labirinto, ottimo. - disse Ed stizzito, mentre Lena gli fece cenno di fare silenzio. Petrov si avvicinò alle quattro uscite esaminandole. Tutte uguali, tutti corridoi pieni di cadaveri ed ugualmente vuoti quanto terrificanti.

- Non ci rimane che avanzare - completò Petrov con tono cupo.
Presero la via centrale, ed avanzarono nel buio coprendosi a vicenda. L’oscurità lentamente rivelò del sangue sui muri ed Ed sussultò.
- Fermi. Che diavolo.. - Petrov illuminò la parete

“Di nuovo”
Sul muro questa era la scritta fatta con il sangue, che impregnava le bare in esso incastonate. Ricopriva l’intera parete, e sembrava fatta con sangue ancora caldo.

- Dove diavolo siamo finiti? - sussurrò Ed, quasi in un singhiozzo. Petrov iniziò a sudare
freddo. La paura lo stava bloccando. Sembrava un enorme incubo, qualcosa di non reale.Tenne alto il fucile per darsi coraggio, quasi come difesa contro quello che era puro orrore psicologico. Lena fu la prima a  muovere alcuni passi in avanti, rivelando un altra camera circolare, ricoperta di altre scritte. Improvvisamente Ed si era zittito, e Petrov avanzava a malapena, con i muscoli tesi, pregando che finisse tutto nonostante sapesse benissimo che sarebbe stato impossibile.

“Di nuovo”
“Ancora”
“Ricomincia”
“Senza fine”

Erano alcune delle scritte che si ripetevano pedisseque sulle mura della stanza.

Dobbiamo muoverci ad uscire da qui, dobbiamo trovare una strada - esordì Ed
avvicinandosi a Petrov con fare agitato
Petrov non poté fare altro che fissarlo con sguardo inquieto. Non riusciva a ragionare in quel momento, si stava facendo vincere dalla paura.

“No, calmo. Dio santo, se non troviamo una soluzione qui ci moriremo, me lo sento. E se mi faccio seppellire dal terrore, sono già morto in partenza”

Ok, allora, deve esserci una strada per uscire di qui. Una scala, qualcosa che porti in
superficie. In fondo non si può costruire un complesso del genere senza porvi un’entrata-

- Esatto, quindi muoviamoci a trovarla. E poi non sappiamo se ci stanno ancora inseguendo. Magari questa é una trappola mortale, e noi ci siamo cascati in pieno -

- Non ho idea di come potremmo orientarci, ma sono sicuro che continuando ad andare alle cieca non faremo altro che girare in tondo - aggiunse Petrov

A loro serviva una maniera per muoversi con un criterio.

- Lasceremo un segno in ogni stanza che percorriamo, così potremo andare ad esclusione, imboccando prima o poi la strada giusta. E’ il massimo che possiamo fare. -
Estrasse il coltello e fece un taglio sulla parte centrale del pavimento. I tre si mossero imboccando la strada di sinistra, e proseguirono il loro cammino.

Girarono a vuoto per parecchio tempo nell’oscurità, passando di camera in camera. Petrov perse totalmente la cognizione del tempo, mentre i suoi due compagni cercavano di orientarsi come meglio potevano. Ed non stava un attimo zitto. Un ragazzo troppo irrequieto, facilmente tentato dalla paura che inevitabilmente lo portava all’agitazione. Lena come al solito invece non apriva bocca. Una donna strana. Erano entrambi strani, ed improvvisamente, a tratti, gli parvero dei perfetti sconosciuti che non aveva mai visto in vita sua.

- Altro vicolo cieco - disse sconsolato Ed quando arrivarono ad un corridoio senza vie d’uscita. Si sedette a terra poggiandosi contro il muro.
- Non ce la faremo mai -
Lena si avvicinò a lui e gli tese la mano facendogli segno di rialzarsi.
- Forza alzati Ed, non ci è permesso fermarci, se ci arrendiamo così é finita -
Petrov si rendeva conto di essere uno scarso motivatore. Quelle che aveva detto gli parevano parole gettate al vento, banali, ma non poteva fare altro che cercare di far rimanere unito il gruppo, per quanto non fosse un leader.

Tornarono in una delle stanze precedenti, e mentre si preparavano a imboccare una differente strada, si sentì un rumore. Passi. Petrov fece segno di fare silenzio ed i tre si collocarono in copertura, ai lati dell’entrata della sala, spegnendo le torce. Mentre Petrov spegneva la sua, però, intravide una scritta finire di comporsi sulla muratura alle sue spalle.

“No”

Dei colpi vennero sparati nell’oscurità.

- CORRETE! - urlò ai suoi compagni
Scattarono e imboccarono la strada oscura. Tutto ciò che sentiva erano i respiri affannati dei suoi due commilitoni, il rumore dei piedi che affondavano nelle pozzanghere, i polmoni che lentamente gli andavano a fuoco come se stesse respirando troppo. Altri proiettili vennero sparati, e degli improvvisi bagliori sfolgorarono nel buio

- Aiuto, aiuto! - Ed scivolo nella camera di fronte a loro implorando e ponendosi a fianco dell’entrata
- L’avevo detto che ci stavano ancora seguendo, questo é il nostro biglietto di sola andata per la Fine - urlò Petrov
Lena sparò alle cieca nel buio. Petrov scivolò in copertura sul fianco opposto ad Ed, e riaccese la torcia insieme a quest’ultimo.

- Continuiamo a muoverci, non ci devono toccare! -
Ed fece uno scatto felino verso un’altro corridoio e gli altri due non poterono fare altro che seguirlo. Qualcosa si mosse nell’ombra dietro di loro e Petrov fece fuoco, ma gli parve di sparare al nulla.

Due stanze più in la Ed si fermò affannato e crollò sulle ginocchia, stremato.

- Non ce la faremo, non ce la faremo -
Altri colpi partirono verso di loro, e Lena rispose al fuoco.
Petrov si inginocchiò di fronte ad Ed, raccolse il suo fucile da terra e glielo ridiede in mano, poi gli parlò fissandolo negli occhi e afferrando il suo viso fra le mani.

- Ascoltami, se molli sei morto! Quindi o ti rialzi e resti con noi, o puoi dirci benis.. -
Una salma di proiettili venne sparata, così Ed e Petrov si abbassarono e strisciarono di fianco, mentre Lena si copriva dietro il muro che lentamente veniva ridotto in briciole sotto i colpi nemici

- Dobbiamo muoverci e correre, muoverci e correre senza fermarci mai! - urlò Petrov
Lena fece pochi passi indietro e aiutò i due a sollevarsi.

Pochi secondi dopo, correvano nei corridoi bui, in cerca di una via di uscita. Sentivano i veloci passi dei loro inseguitori alle loro spalle

Scivolarono nell’ennesima camera sparando alle proprie spalle.
- Al diavolo, se devo morire, moriranno anche loro ! - esclamò Ed
- Che cosa stai facendo, idiota!? -

Ed si buttò a capo fitto sotto i proiettili nemici, correndo e rispondendo al fuoco, finchè non venne inghiottito dall’oscurità e dal silenzio.

“Ah, al diavolo!” Pensò Petrov.

Si armò di tanto coraggio e si buttò anche lui nel corridoio buio.
Improvvisamente un alone oscuro lo travolse. Intravide Ed a terra, di fronte a lui. Vide delle ombre muoversi e passargli attraverso. Sparò dei colpi ma nulla fu efficace. Poteva sentire i loro respiri, i loro movimenti in torno a lui. Si girava per vederli, ma il nulla sembrava avvolgerlo. Un terrore che non ha volto, non ha fine e non ha anima. Intravide Lena vicino a lui per un attimo, ma poi anch’essa spronfondò nelle ombre non appena lui provò a prenderle la mano. Improvvisamente la canna di una pistola, fredda, contro la nuca, che lo forzò ad inginocchiarsi a terra. Il del grilletto che veniva premuto mentre lui chiudeva gli occhi.

La sua mano era tesa verso l’alto, ed una strana luce accecava i suoi occhi. Poteva quasi afferrare il sole di quel cielo grigiastro e dallo strano tepore. Le nuvole per quanto opprimenti lasciavano spazio a qualche raggio chiaro e ben definito che le bucava in più punti. Era forse steso, ma qualcosa lo bloccava, e l’unico spazio che si lasciava intravedere era quello creato dal suo braccio, che puntava alla stella. Presto si rese conto di essere seppellito sotto qualcosa che lo schiacciava. Provò a fare forza con i suoi arti facendo leva contro ciò che lo ricopriva, e lentamente riuscì a smuovere quel peso. Braccia e piedi iniziarono a sgusciargli accanto. Teste, corpi. Erano corpi, era sepolto in una pila di cadaveri putrescenti. Urlò con tutta la sua forza per l’orrore, mentre il fetore si faceva vivo nelle sue narici, finché in un disperato spasmo riuscì ad uscire, rotolando giù dalla pila. Qualche braccio provò forse ad afferrarlo, non ne aveva idea. Forse erano ancora vivi. Cadaveri scheletrici e dalla carne consumata, gli occhi bianchi e apparentemente ciechi, alcuni mutilati, altri che riportavano escoriazioni deformanti su tutto il corpo. Si muovevano.

Sbattè la testa a terra e provò a rialzarsi lentamente. Era al centro di una enorme cattedrale, caduta in pezzi, dalle mura distrutte e la parte superiore completamente mancante e che rivelava quelle nuvole grigie. Le imponenti mura in pietra sembravano completamente bruciate, e con esse le raffinate decorazioni che costellavano quella grandezza decaduta. Ma ciò che faceva rabbrividire erano le pile di corpi accatastate ovunque. Si muovevano, facevano versi e provavano a strisciare

- LEVATI, LEVATI ! - la voce di Ed si fece presente, poi un colpo d’arma da fuoco ed un
rantolo. Pochi secondi dopo Ed sbucò da dietro una pila rotolando per terra mentre alcuni corpi provavano ad afferrarlo
“Dove siamo finiti..?” pensò Petrov fra se e se. Ed gli si avvicinò velocemente, e provò ad afferrarlo per un braccio, quando la stessa Lena si affiancò ai due. Pochi secondo dopo, i corpi iniziarono a muoversi. Si alzarono e iniziarono a circondarli. Mormoravano frasi sconnesse e li fissavano con quei occhi bianchi, profondi, che parevano nascondere un mondo di sofferenza.

- STATE LONTANI! - Ed fece fuoco e ne colpì diversi. Petrov era completamente bloccato dalla paura. Lena si raggomitolò per terra chiudendo gli occhi e tappandosi le orecchie. Era la prima volta che la vedeva in preda al terrore. Finiti i colpi, mentre si rendeva conto di non avere più caricatori, una lacrima solcò la guancia di Ed, mentre i corpi si chiudevano sempre più su di loro

“Ci ascolterete, perchè siete come noi, perché la stessa sofferenza che attanaglia il nostro cuore, afferra anche il vostro”

Tesero le mani verso di loro mentre lentamente camminavano chiudendoli sempre di più

“Non avete futuro. Non avete speranza. Ascoltatevi”

Molti dei corpi scattarono verso Petrov e gli altri due. Uno di questi afferrò Petrov per la faccia e lo sbattè a terra, urlando, fissandolo negli occhi. Molti altri si gettarono su di loro strillando, e a squarciagola esprimendo il loro dolore. Le urla si mescolarono alle immagini, il caos prese il sopravvento.

- Soldato? Soldato forza! -
Il caporale gli fece cenno di alzarsi. La pioggia era forte, ma l’assalto stava iniziando. Centinaia di uomini marciavano uno a fianco all’altro, mentre le prime esplosioni della battaglia nascevano e spegnevano le prime vite. Mentre alzava la testa oltre la sua trincea, intravide i plotoni muoversi in assetto d’attacco. Il campo di battaglia era impervio, fatto di rocce, sporgenze, ed insenature che dominavano la nera collina sulla quale incombeva la cattedrale, imponente e grandioso vessillo del folle governo credente.

Avanzò insieme ad altri uomini, sotto la pioggia, con il fango che gli sporcava la mimetica, ed una paura incredibile che gli sporcava l’animo. Muovendosi verso il fronte, non vide altro che uomini esattamente come lui. Impauriti, ma coscienti di ciò che che li attendeva.
- Li caricheremo, e li distruggeremo! Uno ad uno, non ci sarà speranza per loro! Questa sarà la loro fine, o la nostra! - urlava un capitano di un plotone, in posa su una delle rocce, con alle spalle l’inferno che iniziava ad infuriare
- Quindi forza uomini! Spazzateli via, e portate...MORTE! -
Fece un cenno con la mano ed il suo gruppo partì. Petrov continuò a camminare con i suoi compagni verso la sua zona d’attacco. Una volta arrivati, si misero in riga quando il capitano sbucò davanti a loro. L’uniforme nera ed un mantello rosso facevano la propria figura sotto la pioggia. Aveva il volto dai lineamenti duri e lo sguardo deciso, di qualcuno che sa cosa sta facendo. Fece il suo solenne discorso, ma Petrov non lo stava davvero ascoltando. Petrov guardava all’orizzonte, dove la battaglia già infuriava, e centinaia di vite venivano cancellate ogni secondo. Poi il capitano diede l’ordine.

Decine di uomini che correvano a testa bassa, sotto le esplosioni. Petrov era in mezzo, intorno a lui amici, conoscenti e sconosciuti che cadevano falciati dai proiettili. Ma lui continuava a correre, fra le urla e l’orrore. Fece fuoco verso alcune postazioni nemiche mentre altri suoi commilitoni gli cadevano a fianco, e scivolò dietro la prima roccia che trovò, usandola come copertura. Una pioggia di fuoco si abbattè sulla collina, e fiumi di sangue si sparsero ovunque. I soldati a fianco a lui, quelli ancora vivi, si spalleggiavano l’un l’altro coprendosi e sparando, quando iniziarono a piovere colpi di mortaio. Piogge di terra e roccia schizzarono per aria, sporcando l’orizzonte insieme al bagliore assordante delle esplosioni. Affannato, insieme ad altri, Petrov cercò disperatamente di correre via, d mettersi in salvo, quando vide un plotone avanzare disperatamente, e caricare l’avanguardia nemica

- NOI BRUCEREMO IL LORO CREDO, ED ARDEREMO LE LORO SPERANZE! -

Urlava il soldato in testa a quegli uomini. Pochi secondi dopo non c’erano più. Erano solo sangue e pezzi di carne maciullata. Petrov ritornò in formazione facendosi coraggio, cercando di non scappare. Si muovevano velocemente fra una roccia e l’altra, cercando di non saltare per aria. Si coprì insieme ad uno dei suoi compagni e lo fissò dritto negli occhi. Percepiva il suo sguardo come un grido ben distinto, in quell’inferno di morte.


By Diego


mercoledì 5 marzo 2014